Messico: Chichén-Itza tra storia, archeologia ed il serpente dell’equinozio
Scopri il sito archeologico di Chichén-Itza, unico nel suo genere, e immergiti nella storia e nella cultura dei Maya. Esplora le rovine ben conservate e ammira la piramide, l'osservatorio astronomico e il campo del gioco della pelota.
Chichèn-Itza è un sito archeologico maya-tulteco unico e visitarlo è come fare un salto nella storia. Tra le sue rovine, ancora ben conservate, si respira l’odore della natura ma anche di un popolo antico. Chichèn-Izta è stato nominato patrimonio dell’umanità nel 1998 dall’Unesco.
Ospita la piramide maya conosciuta come “El castillo“, l’osservatorio astronomico, il campo del famoso gioco della palla (pelota) ma anche la pedana dove veniva sacrificato il vincitore del gioco della pelota, il tempio del guerriero e l’ossario.
A pochi metri dal sito, seguendo una via tra la vegetazione della giungla, vi è una pedana a picco sul cenote sacro (pozzi naturali in mezzo alla giungla). Si parla di ben 22 metri di profondità. In questo cenote venivano sacrificate le vergini al Dio della pioggia Chaac, normalmente erano bambine di 12 o 13 anni che venivano preparate al sacrifico dalla nascita. Infatti, per i maya, la bellezza era assomigliare al Dio serpente, adorato nella città di Chiché-Itza conosciuta anche come “città del serpente“.
La testa delle bambine veniva avvolta con due tavole di legno e legata assieme con una corda in modo da far crescere il cranio in forma allungata. Inoltre venivano limati i denti per renderli appuntiti e simili a quelli del serpente, ma veniva anche messo un sassolino tra gli occhi per ottenere lo “strabismo di Venere“, anch’esso ispirato allo sguardo del serpente. Raggiunta l’età adolescente, le bambine venivano sacrificate al Dio Chaac per avere la pioggia per i raccolti.
Per loro era un dono, una sorta di matrimonio tra la bimba ed il Dio. La giovane veniva drogata con i funghi allucinogeni e la vestivano con vesti pesanti fatte d’oro e gemme preziose. La bimba veniva gettata attraverso una pedana nel Cenote Sacro e la morte era sicura tra l’effetto allucinogeno ed il peso della veste: essa affogava rapidamente.
Nel 1904 il console statunitense Edward Herbert Thompson dragò il cenote sacro portando alla luce manufatti d’oro, di giada e di ceramica, ma anche resti umani che rafforzando l’ipotesi dei sacrifici. Ancora oggi è presente il sasso con il ferro su cui poggiava la grù impiegata per riportare alla luce i tesori maya nascosti infondo al cenote.
Un’altra struttura molto suggestiva è “El castillo“, il tempio di Kukulkan (nome Maya di Quetzalcoatl), l’imponente piramide sul cui lato, durante l’equinozio di primavera e d’autunno, a mezzogiorno in punto si può vedere un gioco di luce che forma un serpente che scende lungo il lato della “piramide” e si unisce alla testa di pietra raffigurante il rettile sacro.
Incredibile come un popolo antico sia riuscito a costruire una piramide allineata in una posizione perfetta e con una struttura che, grazie al sole, forma un serpente, il dio adorato dai Maya. Inoltre se si battono le mani sotto la scalinata che porta la vetta del “El castillo” si può ascoltare nell’eco il verso dell’uccello sacro adorato da questo popolo. E’ incredibile da credere ma è così: l’eco risponde riproducendo il verso dell’uccello, non il battito della mano.
Il gioco della Pelota dei Maya.
Nel campo si giocava il famoso gioco della Pelota (foto in alto): due squadre si sfidavano con la supervisione dei sacerdoti della città. Lo scopo era far passare una palla di gomma di circa 4 chilogrammi nel cerchio di pietra: chi ci riusciva per primo vinceva. Il capitano della squadra vincente veniva sacrificato al Dio ed aveva diritto al paradiso per il suo gesto. Per i Maya era un onore morire per un Dio, perchè credevano che in questo modo sarebbero andati in paradiso. Il capitano perdente tagliava la testa al vincitore mentre il popolo assisteva al sacrificio.
Un altro luogo importante nel sito archeologico di Chichén-Itza è l’osservatorio, El Caracol (foto in basso),che risulta essere una struttura molto particolare.
Sulle sue estremità vi sono due grandi coppe che venivano riempite d’acqua dentro le quali si rifletteva il cielo e le stelle: gli astronomi maya riuscivano, così, a ricavare un calendario molto preciso.
Un popolo affascinate, quello maya, fatto di leggende e tradizione ma anche dotato di una cultura incredibile rispetto all’epoca in cui vissero. Il loro “sapere” ancora oggi viene studiato, ricco di mistero e conferme: un popolo fatto di religione e cultura.